Quando a Oriente sorse il sole dell’avvenire

radicalgraphicsNulla è stato dimenticato e nulla è stato appreso”

(F.lli Gordin, «Anarkhist», 22 ottobre 1917)

A cento anni di distanza, la rivoluzione sovietica dell’Ottobre 1917 risulta storicamente ostaggio di diverse interpretazioni: la messinscena nazional-patriottica nella Russia post-socialista di Putin, la condanna della destra anticomunista che giunge a riabilitare il nazismo, la vulgata democratica sulla superiorità morale del liberalismo e la difesa nostalgica quanto acritica del “socialismo realizzato” da parte di settori vetero-comunisti.

Per questo, appare interessante riprendere il filo delle critiche antiautoritarie mosse dal movimento anarchico che pure era stato partecipe – e non in maniera marginale – di quei dieci giorni che sconvolsero il mondo.

Il recentissimo saggio “A oriente sorge il sol dell’avvenire” di Franco Bertolucci (BFS, 2017) che mette a fuoco le reazioni e le opinioni degli anarchici italiani tra il 1917 e il 1922, ci permette una rilettura critica di quell’evento a partire proprio da cosa rappresentò quella “rottura” anche nell’immaginario libertario.

L’anarchico piombinese Augusto Ricucci, emigrato in Belgio durante il fascismo, dette nome alle due figlie Baconina e Spiridonova. Se per il primo nome è evidente l’allusione all’internazionalista anarchico russo Bakunin, il secondo si riferisce a una figura sicuramente meno nota, anch’essa russa, all’epoca assai popolare negli ambienti sovversivi italiani, ben prima del 1917. Marija Aleksandrovna Spiridonova (1884–1941) era una socialista rivoluzionaria che nel 1906 aveva ucciso l’ispettore generale di polizia Luženovskij, governatore di Tambov, dopo la sanguinosa repressione degli scioperi agrari nel suo distretto. Imprigionata in Siberia e divenuta simbolo della rivolta antizarista, sarebbe stata liberata nel 1917 dal governo Kerensskij. Durante la rivoluzione d’Ottobre, si schierò quindi con tutta la fazione dei Socialisti rivoluzionari di sinistra a fianco dei bolscevichi, ma nel luglio 1918 l’alleanza si ruppe a causa dell’opposizione dei primi nei confronti del Trattato di Brest-Litovsk e Spiridonova solidarizzò quindi con i marinai rivoltosi di Kronstadt. A seguito delle sue critiche verso il regime bolscevico e poi staliniano, dal 1921 subì dure misure detentive: manicomio, carcere e internamento, sino alla fucilazione nel 1941.

I due nomi russi per le figlie di un operaio anarchico maremmano confermano, nel loro piccolo, l’attenzione di lunga data del movimento anarchico di lingua italiana per gli avvenimenti in Russia; un’attenzione sicuramente legata alle attività di populisti, nichilisti, anarchici e socialisti rivoluzionari che sostennero per decenni una durissima lotta contro l’autocrazia zarista, ma anche per una certa similitudine tra il contesto sociale italiano e quello russo, soprattutto per l’importanza delle campagne in un progetto rivoluzionario.

Per questi motivi, l’insurrezione dell’Ottobre catturò immediatamente l’interesse dell’anarchismo italiano, anche se non erano del tutto noti i protagonisti politici e, in particolare, l’ideologia “bolscevica” del Partito operaio socialdemocratico russo (dal 1918 denominatosi Partito comunista russo) e il tatticismo politico di Lenin. Questi infatti, non potendo contare su un numero particolarmente elevato di propri militanti (gli aderenti assommavano a circa 240 mila, su oltre 90 milioni di abitanti nel solo territorio russo), nella prima fase insurrezionale dovette accettare l’alleanza con socialisti rivoluzionari, socialisti rivoluzionari di sinistra, menscevichi, “cadetti” ed anche anarchici, quest’ultimi particolarmente forti e combattivi in molte aree del paese. Quattro anarchici fecero infatti parte del Comitato militare rivoluzionario del Soviet di Pietrogrado, mentre a Mosca nei combattimenti per abbattere il governo di coalizione ebbe un ruolo determinante il reggimento di Dvinsk, guidato da due anarchici e affiancato dalla Federazione anarchica moscovita, così come nel 1905 a guidare l’ammutinamento della Potëmkin era stato un anarco-sindacalista. Un altro anarco-sindacalista – Stepan Maksimovič Petričenko – fu a capo della Repubblica Sovietica dei Soldati e Costruttori di Fortezze nel 1921 e presiedette il Comitato rivoluzionario provvisorio di Kronstadt, nel quale su quindici membri figuravano tre anarchici.

D’altronde, gli anarchici russi – e non solo – videro inizialmente la rivoluzione politica dell’Ottobre come il possibile inizio di una rivoluzione sociale che, dopo aver abbattuto lo Stato, si andava organizzando in una Federazione dei Soviet, liberamente costituiti sia nelle realtà di fabbrica sia nelle campagne, come avvenne in Ucraina dove il movimento insurrezionale dei contadini noto come Makhnovicina costituì l’ultima esperienza di autogoverno “comunista” contro la reazione degli Stati capitalisti e la contro-rivoluzione attuata dal socialismo di Stato.

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Peraltro, la stessa rivoluzione in un paese “economicamente arretrato” contraddiceva gli schemi marxisti, seppure messi in discussione dall’ultimo Marx.

In questa dimensione si può ben comprendere l’entusiasmo e la speranza che percorsero anche l’anarchismo italiano al giungere delle notizie da Oriente; tanto più che anche al fronte i soldati, prigionieri ormai da tre anni nelle trincee della Grande guerra, inneggiarono al disfattismo e alla rivoluzione come premessa necessaria per mettere fino all’immane strage di proletari. Come emerge dalla stampa libertaria e sindacalista dell’epoca, nonostante la censura militare, gli anarchici salutarono con favore il realizzarsi della rivoluzione, in contrapposizione alle condanne della borghesia e in polemica con il riformismo socialista.

Da qui la parola d’ordine di “fare come la Russia”, cantata e propagandata con forte valenza evocativa.

La parola d’ordine «tutto il potere ai soviet» – scrive Franco Bertolucci – lanciata dal leader bolscevico nella primavera del 1917, viene interpretata non solo come la base di una progressiva realizzazione della rivoluzione in atto, ma anche come il riconoscimento di un’idea della costruzione della società socialista basata sul decentramento e su forme autogestite delle strutture sociali, fondamento dell’idea federalista libertaria e della società senza stato (…). Scrive Paul Avrich che, in ottobre, anarchici e bolscevichi lavorano di concerto per spostare la locomotiva della storia su un nuovo binario, senza però al momento prevedere – aggiungo – in quale stazione il convoglio della rivoluzione potesse terminare il suo viaggio.”

La negazione della prospettiva internazionalista della lotta di classe a favore del socialismo nazionale, l’involuzione dell’esperienza sovietista in dittatura burocratica, lo sterminio delle forze e dei protagonisti – bolscevichi compresi – della Rivoluzione, nonché la continuità e il recupero degli apparati polizieschi zaristi, intrisi di spie e delatori, assunsero ben presto il volto della “rivoluzione tradita”.

Il farsi Stato del partito bolscevico andò di pari passo con la persecuzione, non solo dei “banditi” anarchici, ma di un’intera generazione di comunisti, divorata nel gorgo delle “purghe” e dei gulag.

La “Nuova politica economica” che ripristinò la proprietà privata in alcuni settori dell’economia e la successiva industrializzazione forzata secondo quanto pianificato da Stalin, in regime di capitalismo di stato, avrebbero altresì dissipato ogni illusione riguardo la “patria dei lavoratori”.

La disciplina da caserma, il moralismo paternalistico e il soffocamento dello sviluppo culturale sostenuto dal “Fronte di sinistra delle Arti” che, secondo V. Majakovskij, avrebbe dovuto «minare il vecchiume, per andare alla conquista di una nuova cultura» e a «combattere per un’arte che sia costruzione della vita», avrebbero spento ogni spinta di liberazione radicale, portando in un opprimente vicolo cieco quella rivoluzione che aveva animato e sorretto la classe lavoratrice di ogni paese nella convinzione che il potere dominante poteva essere abbattuto.

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